Titus Burckhardt sulla lingua araba

Citazione tratta da T. Burckhardt, L’arte dell’Islam, (trad. it) Abscondita, Milano 2002 (ed. or. 1985).

ARTE ARABA O ARTE ISLAMICA?

burckhardt_islam1Ci si può domandare se il termine «arte araba» corrisponda a una realtà ben definita, poiché un’arte araba anteriore all’Islam è per noi praticamente inesistente, a causa della rarità delle sue vestigia; riguardo a quella araba nata sotto il cielo dell’Islam, essa si confonde – ma fino a qual punto? – con l’arte islamica stessa. Gli storici dell’arte non trascurano mai di sottolineare che i primi monumenti musulmani non sono stati costruiti dagli Arabi, che non disponevano di tecniche sufficienti, per cui si avvalsero di artigiani siriani, persiani e greci, e che, via via che l’Islam conquistava le popolazioni sedentarie del Medio Oriente, la sua arte si arricchì delle loro eredità artistiche. Malgrado questo, si può legittimamente parlare di arte araba, per la semplice ragione che lo stesso Islam, se non viene limitato a un «fenomeno etnico» – e la storia lo dimostra – comporta nondimeno, nella sua espressione formale, degli elementi arabi, tra cui il più importante è la lingua che, diventata la lingua sacra dell’Islam, determinò in modo più o meno profondo, lo «stile di pensiero» di tutto il popolo musulmano. Certe disposizioni  dell’anima tipicamente arabe, messe spiritualmente in valore dalla sunna (costume) del Profeta, sono entrate nell’economia psichica dell’intero mondo islamico e si riflettono immediatamente nell’arte. Dunque non si possono ridurre le manifestazioni dell’Islam all’arabismo. Ma, al contrario, è quest’ultimo che è stato diffuso e come trasfigurato dall’Islam.

Per ben comprendere la natura dell’arte arabo-islamica, bisogna sempre tener conto di questo matrimonio tra un messaggio spirituale a contenuto assoluto e una certa eredità etnica che, per questo stesso fatto, non appartiene più a una collettività radicalmente definita ma diventa un «modo d’espressione» d’uso, in linea di principio, universale. L’arte arabo-islamica non è d’altronde la sola delle grandi arti religiose a riposare su un tale connubio. L’arte buddhista, ad esempio, la cui area d’espansione comprende soprattutto i popoli mongoli, mantiene sempre certi tratti tipicamente indiani, specialmente nell’iconografia che è per essa di primaria importanza. In un quadro molto più ristretto, l’arte gotica, di ceppo latino-germanico, offre l’esempio di uno «stile» che si è generalizzato al punto di identificarsi con l’arte cristiana d’occidente.

Senza l’Islam, la spinta araba del VII secolo – supponendo che avrebbe potuto prodursi senza l’impulso religioso – non sarebbe stata che un episodio nella storia del Medio Oriente: le grandi civiltà sedentarie, per quanto decadenti, avrebbero assorbito queste orde di beduini arabi, poiché i nomadi invasori finiscono sempre per accettare i costumi e le forme d’espressione proprie dei popoli sedentari. Nel caso dell’Islam si produsse l’esatto contrario, almeno da un certo punto di vista: furono gli Arabi, in maggioranza nomadi, che imposero ai popoli sedentari conquistati le loro forme di pensiero e di espressione, imponendo loro una lingua. Infatti la manifestazione predominante e per così dire folgorante del genio arabo è la lingua, ivi compresa la scrittura. È la lingua che non soltanto ha preservato l’eredità etnica degli Arabi al di fuori dell’Arabia, ma l’ha diffusa ben oltre il ceppo razziale: l’essenza del genio arabo si è effettivamente comunicata a tutta la civiltà musulmana.

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