La discreta facilità del verbo arabo

dahdahSe c’è una cosa facile nello studio della lingua araba, questa è la coniugazione dei verbi.

È davvero una buona notizia!

Infatti il verbo, di solito (si pensi a lingue come il Francese o l’Italiano stesso), è in grado di far impazzire lo studente, con tutte le sue “irregolarità”.

Invece, per quanto riguarda l’Arabo, si tratta d’imparare un paradigma unico per tutti i verbi con radice triconsonantica (pochi sono quelli con radice quadriconsonantica), ed una volta appreso lo si applica anche a tutte le cosiddette “forme derivate” (dalla II alla X).

Certo, esistono alcune “irregolarità” (dovute alla presenza delle “lettere deboli” wâw e yâ’ nella radice), ma queste sono facilmente gestibili – alla luce di pochi accorgimenti riguardanti le combinazioni di vocali brevi e “lettere deboli” (su cui torneremo) – una volta che si è ben assimilata la regola generale.

Già che ci siamo, aggiungiamo anche qualche altra informazione di base sull’argomento.

Il verbo arabo non è dato all’infinito, bensì alla terza persona singolare maschile al passato. In altre parole, anziché “fare”, come per praticità riporta un qualsiasi dizionario arabo-italiano/italiano-arabo alla voce fa‘ala, si tratta piuttosto di “fece” o “ha fatto”.

Ci si chiederà allora che fine ha fatto l’infinito.

Esso è in Arabo un nome a tutti gli effetti, ovvero il cosiddetto masdar, che significando “fonte” ed “origine” ci ricorda che all’origine dell’azione vi è il nome. Il concetto del “fare” viene logicamente prima di un qualsiasi specifico “fare” in un tempo determinato.

Sull’uso del masdar, che in grammatica significa più precisamente “nome verbale” ed è gestito come un nome a tutti gli effetti (noi italiani abbiamo l’“infinto sostantivato”), si può aggiungere che l’Arabo non predilige una frase con un eccesso di verbi. Pertanto si noterà, strada facendo, una sovrabbondanza di nomi ove in Italiano si sarebbero usati dei verbi.

Tornando alla coniugazione del verbo arabo al passato, osserviamo che, logicamente, essendo il verbo fornito alla terza persona singolare maschile, dopo “egli fece/ha fatto” il paradigma prevede “ella fece/ha fatto”, per poi proseguire con le seconde persone singolari, maschile e femminile, e finire con la prima, che è unica per il maschile ed il  femminile. Dopo di ciò, si passa ai duali (ebbene sì, l’Arabo, specificatamente nella sua forma scritta, prevede anche il duale, come altre lingue), e poi alle persone plurali, sempre dalla terza maschile fino a “noi facemmo/abbiamo fatto”.

Certamente si può apprendere il paradigma dei verbi arabi anche partendo dalla prima persona singolare, come in Italiano e nelle lingue a noi più note, ma partendo dalla terza singolare maschile teniamo conto del modo intrinseco al sistema linguistico arabo di presentare il verbo.

paradigmaNei libri arabi per lo studio del verbo, oltretutto, le persone vengono organizzate in maniera ancora diversa: prima le terze persone (egli/ella/essi (due)/esse (due)/essi/esse), poi le seconde (tu m./tu f./voi (due), voi m./voi f.), poi le prime (io/noi). Ma questo è sinceramente un ordine dei fattori che per noi italofoni risulta particolarmente ostico, quindi lo possiamo anche ignorare.

Per ciò che concerne i modi del verbo, vi è poi da dire, in sintesi, che l’Arabo, oltre al passato, che nelle grammatiche italiane è chiamato “perfetto”, prevede i modi “imperfetto” ed “imperativo”.

Ma se per il secondo di questi due modi c’è da dire che esso concerne l’azione comandata, ordinata (es. “fa’!”, “fate!”), relativamente però solo alle seconde persone (per le altre esiste “l’esortazione”: es. “mangiamo”, “esca”, “bevano” ecc.), per il cosiddetto “imperfetto”, che non ha nulla a che vedere con il nostro imperfetto indicativo, basti qui osservare che esso serve a rendere moltissimi tempi verbali, tra i quali il presente indicativo, il futuro semplice, il congiuntivo, il condizionale e persino l’imperativo ed il futuro negativi.

Questo cosiddetto “imperfetto”, chiamato così dalle grammatiche italiane poiché rende tempi relativi ad azioni “non concluse” (quindi “non perfette”), è anch’esso facilissimo da gestire, poiché oltre alla radice triconsonantica presenta, per ciascuna persona, degli specifici prefissi (e talvolta dei suffissi), utilizzando per questi le lettere yâ’, tâ’, alif-hamza e nûn.

Ad ogni modo, lo studio del verbo arabo comincia sempre, per il discente non arabofono, dal passato, quindi per stimolare la curiosità dell’aspirante studente, forniamo, indicando anche gli accenti tonici, il paradigma di un verbo arabo trilittero regolare.

“Scrivere” (in realtà “[egli]scrisse/ha scritto”):

Singolari: kàtaba, kàtabat, katàbta, katàbti, katàbtu.

Duali: kàtabâ, katàbatâ, katàbtumâ.

Plurali: kàtabû, katàbna, katàbtum, katabtùnna, katàbnâ.

Come detto, i trilitteri regolari sono i verbi da studiare all’inizio per impratichirsi con la coniugazione e poi passare a quelli con più lettere (le “forme derivate”) e, solo successivamente, a quelli con le suaccennate “irregolarità”.

Concludiamo questo breve excursus sul verbo arabo segnalando qualche strumento utile:

tresso_verbo_araboC. M. Tresso, Il verbo arabo. Morfologia, paradigmi di coniugazione, forme base e forme derivate di verbi regolari, geminati, con radicale hamza e deboli, (Hoepli, Milano 2002).

O. Nahli, Lingua araba. Il sistema verbale (Pisa University Press, Pisa 2010).

Qutrub (“coniugazione dei verbi arabi”).

Acon Arabic Conjugator (gratuito solo per i verbi senza “irregolarità”): sulla home presenta per l’appunto il paradigma di “scrivere”, sia del “perfetto” che dell’ “imperfetto”, alle forme attiva e passiva, ordinato dalle prime alle terze persone.

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