Le divine simmetrie della calligrafia araba

alif_cerchioLà dove il Corano giganteggia, l’arte della calligrafia (khatt), in quanto funzionale alla trasmissione della parola di Dio, ha sempre rivestito un ruolo di estrema rilevanza. Anche perché, dal momento che la legge islamica vieta la rappresentazione iconografica della divinità, non esiste altro modo, all’infuori del khatt, per veicolare visivamente i contenuti del messaggio rivelato.

Da qui l’inevitabile e turgido proliferare di stili (più o meno elaborati) e di tecniche, le più raffinate, per mezzo delle quali il calligrafo (armato di qalam, una penna di canna secca) si sforza di interpretare le pieghe più nascoste (e virtualmente infinite) della rivelazione coranica, aiutato – in questo compito – dalla singolare flessuosità dell’alfabeto arabo, i cui grafemi si prestano meravigliosamente alle manipolazioni ortografiche più audaci ed eleganti.

Per essere tale, data per l’appunto la sua sacralità, una calligrafia coranica deve nondimeno sottostare a dei criteri prestabiliti, quali «l’armonia della scrittura» e «l’economia grafica»; principi che fanno sì che ogni lettera o consonante – l’alfabeto arabo ne conta 28 – si leghi alle altre, in ossequio a determinate esigenze di sintesi e di simmetria.

Non dalla fantasia o dalla creatività dell’artista deriva, dunque, la bellezza di un testo calligrafico, bensì – trattandosi di un’arte oggettiva – dal rispetto di aurei e precisi rapporti di proporzione, nonché dall’abile interazione di curve, di rette e di punti che, opportunamente combinati, conferiscono alle parole del Corano una veste esteriore adeguata alla santità del loro significato intrinseco.

L’alfabeto arabo è, infatti, basato su tre coordinate: l’alif (la prima lettera del’alfabeto, che ha la forma di una retta verticale), il punto e il cerchio. Il punto è l’unità di misura della alif, la cui lunghezza determina il diametro del cerchio, all’interno del quale si inscrivono tutte le altre lettere.

Il primo stile calligrafico e raggiungere una certa diffusione fu la scrittura kûfica, dall’omonima località irachena da cui si pensa abbia preso avvio e dove aveva sede, nel primo Medioevo, una delle più importanti scuole di grammatica. Si distingue dagli altri stili in seguito prevalenti (hijâzî, naskhî, thulth) per il suo andamento geometrico e spigoloso, ideale per la realizzazione di epigrafi e di iscrizioni monumentali.

Le lettere dell’alfabeto kûfico sono espresse graficamente da tratti orizzontali corti e dritti, che si intersecano con tratti verticali lunghi, abbinati a circoli spessi e massicci, dando all’insieme della frase (o del passo coranico trascritto) un aspetto tendenzialmente statico, mentre più dinamico e gradevole all’occhio risulta il kûfico «fiorito», ingentilito da riccioli, abbellimenti e piccole decorazioni, appunto, floreali.

 

Tratto da: Angelo Iacovella, 101 storie sull’Islam che non ti hanno mai raccontato, Newton Compton Editori, Roma 2011, pp. 64-66 (qui in formato e-book)

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